Il fact-checking di Meta. Come ha funzionato sino ad ora?
È in vigore già da otto anni e prevede la collaborazione con organizzazioni indipendenti e quotidiani accreditati dall'International Fact-Checking Network, di cui fa parte, per esempio, anche il portale di giornalisti Correctiv, che con le agenzie di stampa dpa e AP ha questo compito in Germania. I post vengono analizzati e, dove necessario, si applica un’etichetta che avvisa gli utenti che il contenuto è stato verificato e potrebbe essere fuorviante. Gli utenti vengono invitati a consultare ulteriori informazioni prima di interagire con il contenuto - quindi i fact checker non oscurano contenuti ma forniscono fatti in caso di disinformazione.
Cosa cambia in Meta, per ora solo negli Stati Uniti?
Meta termina la sua collaborazione con questi attori e quindi non ci saranno più questi avvisi per contenuti sospetti di disinformazione su Facebook, Instagram e Threads. Zuckerberg, con questa decisione, si allinea alla via segnata da Musk al fianco di Trump e vuole introdurre le cosiddette “community notes”.
Praticamente, si affida a un gruppo selezionato di utenti il compito di aggiungere note di contesto ai contenuti - non più a giornalisti professionisti. Gli utenti che hanno determinati requisiti, come un account verificato e una certa anzianità di utilizzo della piattaforma, possono indicare in un commento se i contenuti sono affidabili o meno. È un sistema utile quando si tratta di individuare contenuti relativi a truffe o spam. Non lo è, invece, e lo abbiamo visto su X, per i contenuti polarizzanti, come quelli politici, dove l'autorevolezza delle note e l'imparzialità degli utenti non sono garantite.
Il Digital Services Act (DSA) e il fact-checking nell’Unione europea
Il DSA è un regolamento dell'Unione Europea creato proprio per fissare standard digitali di sicurezza. Obbliga le piattaforme a contrastare la disinformazione e i discorsi d'odio. Grazie a questo strumento, in Europa i programmi di fact-checking dovrebbero rimanere operativi almeno fino a tutto il 2025. A supporto dei sistemi di verifica, Meta potrebbe anche ricorrere a misure alternative, all’Intelligenza artificiale, per esempio. Certo è che non può replicare il modello statunitense senza considerare le regole dell'Unione europea. Ma a lunga scadenza potrebbe puntare a eliminare anche qui il fact-checking. Intanto l'UE ha proprio annunciato oggi che aumenterà il personale impegnato nell'applicazione delle regole.
Meta e l’abbandono dei programmi di inclusione e tutela delle minoranze.
Meta dice addio anche al team e ai programmi di diversità, equità e inclusione. Zuckerberg afferma di volersi “concentrare su come applicare pratiche eque e coerenti che attenuino i pregiudizi per tutti, indipendentemente dal background”. Un appiattimento pericoloso che non riconosce differenze storiche, culturali e sociali, che ignora le discriminazioni sistemiche a cui sono sottoposte le minoranze per il proprio orientamento sessuale o l’identità di genere, per la propria fede religiosa, per le proprie origini. Zuckerberg non è il solo ad agire in questo modo. Jeff Bezos ha fatto la stessa cosa ad Amazon. Niente più programmi per la diversità, l’inclusione e l’equità.
Via libera a razzismo, bullismo e discriminazione
Meta ha deciso di non limitare più il razzismo, il bullismo o la discriminazione. Tieni conto che ha eliminato dalle sue linee guida il divieto di disumanizzare le persone transgender o non binarie, chiamandole, per esempio, “cose, oggetti” - lo stesso vale per le donne. Non saranno più vietati insulti sulla base dell’aspetto fisico, culturale o mentale, come “ritardato”. Sarà possibile dichiarare la superiorità di un gruppo su un altro, degli uomini sulle donne, dei bianchi sui neri, dei cristiani sugli ebrei, per fare solo alcuni esempi raccapriccianti. Sarà possibile definire “anormali” persone a causa della loro identità di genere o dell’orientamento sessuale… Pensa che l'avvocato californiano Mark Lemley, professore all’Università di Standford, ha abbandonato Meta come cliente in una causa di alto profilo sul copyright a causa – lo cito - della “deriva nella mascolinità tossica e nella follia neonazista” dell'amministratore delegato Mark Zuckerberg.
Cosa si aspettano i capi delle big tech da Trump?
Si tratta degli uomini più ricchi del mondo, minacciati, però, tutti da procedimenti antitrust che potrebbero distruggerli. È interessante vedere un palese voltafaccia, rispetto al primo mandato di Trump, quando gli erano praticamente tutti contro. Ora lo temono e quindi lo corteggiano, sperando in una deregolamentazione ad esempio sull'Intelligenza artificiale. Ricordo che la scorsa estate Trump aveva minacciato di far finire in galera Zuckerberg, colpevole, secondo lui, di avvantaggiare sulle sue piattaforme i democratici. Zuckerberg ha poi cenato con lui a Mar-a-Lago, gli ha staccato un assegno da un milione di dollari per la sua campagna elettorale e ora, terminata la lotta alle fake news soprattutto in materia di migrazione e gender, è ufficialmente al suo fianco.
X: rimanere o andare?
Che Elon Musk, attraverso la sua piattaforma di informazione X (ex Twitter) possa dettare l'agenda politica e che grazie all'uso di algoritmi mirati favorisca la diffusione di opinioni di estrema destra ha scatenato da settimane un movimento di protesta digitale. Moltissimi hanno iniziato a lasciare la piattaforma X. Una forma di boicottaggio a cui ha aderito non solo gente comune, ma anche testate giornalistiche e personaggi noti. In tutto il mondo: dal Guardian a Stephen King. In Germania, ultime in ordine di tempo, l'emittente pubblica radiotelevisiva Hessischer Rundfunk, ma anche le squadre di calcio del St. Pauli, SC Freiburg e Werder Brema. Ma ci sono anche più di 60 università tedesche, tra cui quelle di Berlino, Münster e Potsdam, che hanno scelto di abbandonare X in blocco perché non ne condividono più i valori, contrari alla difesa della diversità culturale e dell'informazione basata sui fatti. E ne discute anche il mondo politico tedesco, con alcune rappresentanze istituzionali che hanno deciso di lasciare la piattaforma.
La parola all’esperta
Ma che tipo di trasformazione sta avvenendo nei social network? Ne abbiamo parlato con Manuela Caiani, professoressa associata di Scienze Politiche alla Scuola Normale Superiore di Pisa, esperta di populismo, estremismo di destra e partecipazione politica. Secondo Caiani, gli Stati, con la nascita dei social network, hanno tardato ad occuparsi della legislazione, lasciando ai magnati della Silicon Valley la regolamentazione delle loro piattaforme. Oggi assistiamo al loro smantellamento, come nel caso di Meta, perché ne hanno il potere. L’UE dovrebbe intervenire con norme più severe, ma è molto più lenta nell’arrivare a leggi che mettano d’accordo tutti gli Stati membri.